OPINIONI
Cristianesimo e progresso
L'ARENA venerdì 18 settembre 2015 LETTERE, pagina 27.
Particolare interesse ha sempre suscitato il tema di Dio e, in particolare, della salvezza in Cristo Gesù. Ne parlano non solo teologi ma anche filosofi, romanzieri e giornalisti. Non sempre, purtroppo, con la necessaria competenza e serietà; anzi, talora, sfoderando un tono mascherato di umorismo, ma che in realtà spesso è dissacrante. C'è chi ha qualificato questi ultimi decenni non solo come un'epoca complessa, ma come l'inizio di un'epoca «postcristiana», nella quale la Chiesa cattolica, la fede, la morale, le celebrazioni liturgiche, sarebbero residui di una mentalità religiosa sorpassata. Pretendere - si dice - di essere cristiani oggi, in un mondo segnato dal fascinoso progresso scientifico e tecnologico, sarebbe come offrire un archibugio a chi è ormai stratega di missili; o come voler usare una Olivetti per scrivere anziché il computer e navigare in internet. Che dire? È, invece, sempre più evidente che, oggi come non mai, la società caratterizzata dal secolarismo e dalla globalizzazione, dalle guerre e dal terrorismo, ha un bisogno urgente di riscoprire la fede cristiana e gli autentici valori morali. Se è inammissibile parlare di epoca postcristiana, si deve riconoscere che nel nostro tempo l'indifferenza religiosa e l'ateismo, la persistente crisi culturale e morale, rappresentano sfide ineludibili. Papa Francesco ci sollecita (“Laudato sì”, 245): «Dio, che ci chiama alla dedizione generosa e a dare tutto, ci offre le forze e la luce di cui abbiamo bisogno per andare avanti». Il Concilio, nella "Gaudium et spes", 34 puntualizza: «Il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, lungi dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente». Edificare un mondo in cui non vi sia più spazio per la guerra e il terrorismo. La fede cristiana, infatti, non è sciroppo ma lievito, non è sonnifero ma dinamismo vitale. Occorre, quindi, che i cristiani siano consapevoli di essere annunciatori di un messaggio che infonde verità, libertà e giustizia in tutto il mondo.
Renato Perlini VERONA
OPINIONI
Un elogio della laicità (titolo originale: Laicità e progresso)
L'ARENA martedì 29 settembre 2015 LETTERE, pagina 23
In rosso le parti del testo originale che non sono state pubblicate.
Rispondo alla lettera su «Cristianesimo e progresso» del 18 settembre scorso.
Mi spiace (davvero) leggere che, nella nostra società, i processi storici del «secolarismo» e della «globalizzazione» siano associati a «guerre e terrorismo», che «l'indifferenza religiosa e l'ateismo» siano associati alla «crisi culturale e morale». La soluzione prospettata dall'autore della lettera starebbe nel «messaggio cristiano» che avrebbe il «compito di edificare un mondo in cui non vi sia più spazio per la guerra e il terrorismo».
Dovrebbe essere ormai risaputo da tutti quanto la componente religiosa sia (oggi nei Paesi arabi), e sia stata (ieri nella vecchia Europa ed esportata in tutto il mondo), alla base di tantissime guerre, di terrorismo, di aberrazioni di ogni genere.
Credo sia altrettanto sotto gli occhi di tutti che nei Paesi più secolarizzati (mi riferisco ai Paesi del centro e del nord Europa), dove è maggiore l’indifferenza religiosa (e quindi a più alta percentuale di laicità e di ateismo), l'economia e i diritti civili (progresso economico e benessere sociale) siano ben superiori a quelli che si riscontrano nei Paesi a maggiore vocazione religiosa (collocati nella fascia del Mediterraneo).
Non credo che il Cristianesimo e le religioni in genere possano essere annoverati tra gli artefici del progresso, sia economico che sociale: credo che tale riconoscimento debba essere riconosciuto all’Illuminismo (fine dell’oscurantismo religioso medievale), alla Scienza (in tutte le sue più diverse discipline), alla Guerra d’Indipendenza Americana prima e alla Rivoluzione Francese poi (da loro è nata la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”).
Quando la laicità prende piede e si diffonde nella cultura, e quindi in tutta la società, si riscontra un giovamento generale perché vengono meno le conflittualità di carattere religioso ed è maggiormente applicato il principio del «dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio» da parte di tutti (laici e religiosi).
La Corte Costituzionale ha definito la laicità come «principio supremo» dello Stato (sentenza n° 203 del 1989), dove si afferma il rispetto per tutte le religioni senza fare privilegi per alcuna: è il caso che tutti lo tengano nella dovuta considerazione.
Angelo Campedelli (Circolo UAAR di Verona)
Cristianesimo e progresso
L'ARENA venerdì 18 settembre 2015 LETTERE, pagina 27.
Particolare interesse ha sempre suscitato il tema di Dio e, in particolare, della salvezza in Cristo Gesù. Ne parlano non solo teologi ma anche filosofi, romanzieri e giornalisti. Non sempre, purtroppo, con la necessaria competenza e serietà; anzi, talora, sfoderando un tono mascherato di umorismo, ma che in realtà spesso è dissacrante. C'è chi ha qualificato questi ultimi decenni non solo come un'epoca complessa, ma come l'inizio di un'epoca «postcristiana», nella quale la Chiesa cattolica, la fede, la morale, le celebrazioni liturgiche, sarebbero residui di una mentalità religiosa sorpassata. Pretendere - si dice - di essere cristiani oggi, in un mondo segnato dal fascinoso progresso scientifico e tecnologico, sarebbe come offrire un archibugio a chi è ormai stratega di missili; o come voler usare una Olivetti per scrivere anziché il computer e navigare in internet. Che dire? È, invece, sempre più evidente che, oggi come non mai, la società caratterizzata dal secolarismo e dalla globalizzazione, dalle guerre e dal terrorismo, ha un bisogno urgente di riscoprire la fede cristiana e gli autentici valori morali. Se è inammissibile parlare di epoca postcristiana, si deve riconoscere che nel nostro tempo l'indifferenza religiosa e l'ateismo, la persistente crisi culturale e morale, rappresentano sfide ineludibili. Papa Francesco ci sollecita (“Laudato sì”, 245): «Dio, che ci chiama alla dedizione generosa e a dare tutto, ci offre le forze e la luce di cui abbiamo bisogno per andare avanti». Il Concilio, nella "Gaudium et spes", 34 puntualizza: «Il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, lungi dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente». Edificare un mondo in cui non vi sia più spazio per la guerra e il terrorismo. La fede cristiana, infatti, non è sciroppo ma lievito, non è sonnifero ma dinamismo vitale. Occorre, quindi, che i cristiani siano consapevoli di essere annunciatori di un messaggio che infonde verità, libertà e giustizia in tutto il mondo.
Renato Perlini VERONA
OPINIONI
Un elogio della laicità (titolo originale: Laicità e progresso)
L'ARENA martedì 29 settembre 2015 LETTERE, pagina 23
In rosso le parti del testo originale che non sono state pubblicate.
Rispondo alla lettera su «Cristianesimo e progresso» del 18 settembre scorso.
Mi spiace (davvero) leggere che, nella nostra società, i processi storici del «secolarismo» e della «globalizzazione» siano associati a «guerre e terrorismo», che «l'indifferenza religiosa e l'ateismo» siano associati alla «crisi culturale e morale». La soluzione prospettata dall'autore della lettera starebbe nel «messaggio cristiano» che avrebbe il «compito di edificare un mondo in cui non vi sia più spazio per la guerra e il terrorismo».
Dovrebbe essere ormai risaputo da tutti quanto la componente religiosa sia (oggi nei Paesi arabi), e sia stata (ieri nella vecchia Europa ed esportata in tutto il mondo), alla base di tantissime guerre, di terrorismo, di aberrazioni di ogni genere.
Credo sia altrettanto sotto gli occhi di tutti che nei Paesi più secolarizzati (mi riferisco ai Paesi del centro e del nord Europa), dove è maggiore l’indifferenza religiosa (e quindi a più alta percentuale di laicità e di ateismo), l'economia e i diritti civili (progresso economico e benessere sociale) siano ben superiori a quelli che si riscontrano nei Paesi a maggiore vocazione religiosa (collocati nella fascia del Mediterraneo).
Non credo che il Cristianesimo e le religioni in genere possano essere annoverati tra gli artefici del progresso, sia economico che sociale: credo che tale riconoscimento debba essere riconosciuto all’Illuminismo (fine dell’oscurantismo religioso medievale), alla Scienza (in tutte le sue più diverse discipline), alla Guerra d’Indipendenza Americana prima e alla Rivoluzione Francese poi (da loro è nata la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”).
Quando la laicità prende piede e si diffonde nella cultura, e quindi in tutta la società, si riscontra un giovamento generale perché vengono meno le conflittualità di carattere religioso ed è maggiormente applicato il principio del «dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio» da parte di tutti (laici e religiosi).
La Corte Costituzionale ha definito la laicità come «principio supremo» dello Stato (sentenza n° 203 del 1989), dove si afferma il rispetto per tutte le religioni senza fare privilegi per alcuna: è il caso che tutti lo tengano nella dovuta considerazione.
Angelo Campedelli (Circolo UAAR di Verona)